Quante volte abbiamo sentito parlare dell’omosessualità come una malattia?
Non molti giorni fa, un’avvocatessa mantovana, in una discussione nata su Instagram ha dichiarato che “chi è affetto da omosessualità non può lavorare a contatto con i minori”, come se si trattasse di una vera e propria patologia contagiosa. Queste parole erano dirette ad un educatore omosessuale, Alessio M., il quale però ha deciso di ribattere alle parole della donna, coinvolgendo anche l’associazione Athena. Il ragazzo è stato contattato anche da un avvocato bolognese, Michele Giarratano e da Cathy La Torre, che, con l’associazione GayLex, lo hanno aiutato a procedere con una denuncia formale alla Polizia postale.
La guerra alla discriminazione su Instagram
La storia comincia sabato scorso, giornata nella quale era prevista a Mantova una manifestazione contro la legge Zan sulla omotransfobia: l’avvocatessa mantovana ha annunciato su Instagram che avrebbe preso parte alla manifestazione, così Alessio, per rispondere alla donna, ha pubblicato una foto con il suo fidanzato scrivendo “l’omosessualità non è una malattia” e ha taggato il profilo della donna. La risposta dell’avvocatessa è stata a dir poco agghiacciante: ha ricondiviso la storia scrivendo “l’omosessualità una malattia riconosciuta e va curata”. Riconosciuta da chi?
Alessio, per nulla intimidito dalle parole della donna, ha risposto con un’altra storia, nella quale ha scritto che lavora da dieci anni come educatore, è sempre andato d’accordo con genitori e colleghi educatori, i quali si sono sempre complimentati con lui per il suo rapporto con i bambini, e ha aggiunto riferendosi alla donna, che non perde tempo “con le persone senza testa”. A questa frase è scattata la bufera: la donna ha iniziato a dire che nelle scuole non devono esserci educatori omosessuali perché non hanno un cuore, perché si fanno vedere sui social mentre baciano i fidanzati e sculettano davanti ai bambini o hanno atteggiamenti femminili.
L’avvocatessa, dal canto suo, dice non avercela con gli omosessuali in quanto tali ma che non accetta il modello che vogliono imporre, nel momento in cui vogliono affittare uteri, adottare bambini e dar loro una famiglia composta da due padri o due madri. Asserisce anche che vogliano insegnare nelle scuole la pratica omosessuale. Ma come si insegna una pratica omosessuale? Non sappiamo come procederà la denuncia, ma ci auguriamo che la discriminazione stavolta non vinca.
Dal profilo dell’educatore riportiamo uno stralcio che vogliamo condividere con voi:
“Non sappiamo come andrà a finire. La storia ci insegna però che le cose cambiano davvero quando non si abbassa lo sguardo, quando non si consente all’odio di trovare terreno fertile su cui attecchire”.