Vanity Fair ha raccolto le crude testimonianze di chi vive la propria omosessualità come un dramma. Sono i figli dei boss, che per ragioni d’onore, non posso vivere apertamente il proprio orientamento omosessuale per paura di ripercussioni sulla propria vita. Come Rocco, diciannove anni, erede di un boss calabrese, che non può usare nè il suo cognome né mostrare il suo volto per paura di essere scoperto:
Ho sempre saputo di essere gay. Da piccolo giocavo con le Barbie… I miei genitori non sanno niente di me, non capirebbero… Appartengo a una famiglia della ’ndrangheta di Reggio Calabria. Una famiglia oppressiva che si è sempre intromessa nella mia vita, e che non mi permetterà mai di vivere come voglio, almeno finché resterò qui. Per questo ho un progetto: scappare al Nord appena finite le scuole. Non voglio fare la fine di mio zio, costretto a un matrimonio combinato per evitare il disonore che qualcuno si accorgesse della sua omosessualità…
Girolamo Lo Verso, ordinario di Psicologia clinica all’Università di Palermo, ritiene che il fenomeno sia diffusissimo su tutto il territorio nazionale:
In Cosa nostra c’è sempre stata omofobia. Non per moralismo, poiché la mafia non ha un’etica. L’omosessuale è ritenuto inaffidabile perché non ha un’identità certa. Non è come il “vero uomo” che non parla, che di solito non tradisce la moglie, che uccide senza emozioni, che pensa solo agli affari… Guardi la storia di Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia. Passò tutta la vita ad angosciarsi sulla propria identità sessuale, perché nel suo ambiente non c’era niente di più sporco e disprezzato dell’omosessualità…
Gino Campanella e Massimo Milani, che proprio a Palermo hanno fondato nel 1981 la prima sede italiana dell’Arcigay, vivono quotidianamente le storie drammatiche della comunità lgbt della zona:
Molti ragazzi vengono a confidarsi con noi. Anche figli di boss che soffrono perché non possono dichiararsi. Tre anni fa venne un ragazzo di Brancaccio, che fu poi accoltellato dal padre mafioso.
Emblematico il caso di Napoli come raccontato da Salvatore Simioli, ex presidente dell’Arcigay:
L’arresto per traffico di droga a Scampia, un anno fa, della prima trans boss della camorra – Ugo Gabriele detto Ketty, 28 anni – viene portato a esempio del ruolo che le trans possono raggiungere nel Sistema… Tra gli scissionisti… un gay o una trans possono anche salire ai vertici.